venerdì 16 luglio 2010

C'era una volta la Lares

Competenze, flessibilità e tecnologia non bastano a dare la sicurezza del posto di lavoro. La Lares spa, storica azienda di Paderno, un tempo marchio leader a livello mondiale nella produzione di circuiti elettronici, è stata dichiarata fallita il 9 luglio 2009 dal Tribunale di Monza, dopo un decennio di turbolenze, fra cessioni, ripartenze e frodi. Da azienda all'avanguardia della microelettronica italiana a dramma per centinaia di famiglie Passato glorioso, presente drammatico e futuro incerto. La parola ai lavoratori.
Interviste di Andrea Mazzarella



Dalla scorsa estate, 130 operai sono in cassa integrazione, abbandonati dalle istituzioni competenti; i più stoici sono accampati in un presidio ricavato dall’ex deposito delle biciclette della fabbrica ormai chiusa, costretti a sopravvivere ma senza abbassare mai la testa, con un coraggio e una determinazione che fanno riflettere. Siamo andati a trovarli dopo quasi un anno e mezzo di lotta, per dar voce a chi merita realmente attenzione. Abbiamo parlato con Graziella Provoli, simpatica e risoluta cinquantenne, ex operaia Lares, componente della ventina di presidianti che non hanno mai smesso di combattere.

Sig.ra Provoli, come è la vita, o meglio la sopravvivenza stando in un presidio?Ufficialmente, quando avete iniziato a presidiare?
Marzo 2009, prima della sentenza di fallimento del Tribunale di Monza.
Cosa rappresentava la Lares?Il nostro futuro. C’era uno stipendio che permetteva una vita normale. La Lares era una sicurezza: quando c’erano i Cozzi il lavoro abbondava, se avevi bisogno di un prestito te lo facevano. Poi, dopo l’arrivo di Castellano ( amministratore straordinario inviato dallo Stato, N.d.R.) e Astolfi ( acquirente della Lares Cozzi nel 2006, N.d.R.), tutto è cambiato.
Quale è stata la sua esperienza lavorativa in Lares?Sono stata assunta in Lares all’età di 18 anni ed ho prestato servizio fino all’anno scorso, per un totale di 35 anni di lavoro più uno passato in presidio. Qua andava tutto bene: i soldi c’erano, così ho aperto un mutuo per comprarmi una casa, mutuo che ancora devo finire di pagare pur non avendo uno stipendio fisso.
E oggi? È in cassa integrazione?Sì, sono in cassa integrazione in deroga dopo che il 18 maggio 2010 è finita quella straordinaria. Quella attuale durerà fino al 30 dicembre 2010, ma comunque non mi basta: dovrei lavorare ancora 3/4 anni per andare in pensione, ma anche volendo il lavoro non si trova, perché o lavori in nero o prendi 700 euro al mese che non sono sufficienti per andare avanti. È assurdo: siamo qui a lottare per la cassa in deroga, a rompere le scatole alle istituzioni e molti ci dicono che restiamo in presidio perché non abbiamo voglia di lavorare.
Non hanno previsto piani di riqualificazione o di reinserimento nel mondo del lavoro per voi ex-operai Lares?Sì, ci sono dei corsi di due settimane previsti dalla cassa in deroga, ma sinceramente non so quanto potranno servire, anche perché a Paderno non c’è più niente e se vuoi trovare qualcosa devi fare molti chilometri. Allo stato attuale, purtroppo, conviene restare in cassa integrazione, anche se la volontà di lavorare c’è sempre e riavere un impiego sarebbe la cosa migliore.
Difficile arrivare alla fine del mese senza una retribuzione fissa…
Sì, anche perché non tutti hanno i genitori che danno una mano. Bollette, spesa, mutuo, tutto da pagare con pochi soldi. Fortunatamente, alla mia età, non cresci più, così puoi riutilizzare la maglietta di qualche anno prima oppure rinunciare alle ferie (Interviene un’altra operaia: “Non fai più la vita tranquilla e serena di una volta: non ti compri più niente, non esci nemmeno per una pizza”). Qui in presidio qualche aiuto ci arriva: la San Vincenzo (gruppo umanitario che distribuisce viveri e guardaroba, N.d.R.) ci porta alimenti, mentre tramite qualche festa da noi organizzata riusciamo a tirar su un po’di soldi, molti dei quali vengono usati per la stampa di volantini e striscioni.
E gli operai che non presidiano? Sapete cosa fanno?Alcuni vanno a Milano in Tribunale, senza stipendio fisso, gli viene pagata la differenza dalla cassa integrazione; parecchi andranno presto in pensione. La mia speranza sarebbe quella di vedere tutti insieme nella protesta, ma so che è un’ipotesi irrealizzabile.
Molte persone, a detta vostra, ma anche secondo le ricostruzioni legali, hanno contribuito a rovinarvi la vita. Marcel Astolfi è indicato come il principale responsabile, ma non è possibile che le cose andassero male prima del suo arrivo e, malgrado voi, del suo intervento?Sì, sicuramente già c’erano dei problemi. La ditta funzionava fino a quando c’è stato Luigi Cozzi; poi la società è passata al figlio (Giovanni Cozzi, N.d.R.), che ha fatto degli errori di investimento e tutto è peggiorato. Noi lavoratori, davanti all’emergenza, ci eravamo persino decurtati lo stipendio del 4% pur di vedere la Lares ancora funzionante, ma non è bastato. Nel 2006 è stato inviato Castellano e la speranza era che potesse risolvere tutti i problemi: essendo mandato dallo Stato, sembrava dovesse arrivare con lui molto lavoro, mentre il risultato è stato trovarsi in mezzo alla strada dopo due anni. Così, quando andremo in pensione, avremo ancora meno retribuzione, perché ci siamo decurtati lo stipendio: un’altra fregatura.
Oggi, dopo una serie infinita di difficoltà, come si sente? E soprattutto, cosa chiede?Provo una rabbia smisurata, perché se tutti scendessimo in piazza e lottassimo per i nostri diritti, come abbiamo fatto in passato, forse vedremmo le cose cambiare. Non è con il lavoro nero o nascondendosi che si risolvono questi problemi: così si alimenta solo il marcio. E, in più, mi piacerebbe vedere i nostri sindacati più attivi e combattivi, perché ci stanno togliendo tutto e nessuno dice nulla.
Quasi tutte le aziende stanno chiudendo, a Paderno non c’è più attività lavorativa: come si può trovare un’occupazione? Non c ‘è futuro.Già, anche secondo noi.

Come muore un’azienda?
Lares era conosciuta in Italia e nel mondo per la sua capacità produttiva, ma soprattutto per la flessibilità tecnologica che gli consentiva di operare come laboratorio prototipi per i suoi grandi clienti. I padernesi lo ignorano, ma i primi circuiti dei telefonini della Nokia sono nati qui. Come ha fatto un’azienda così a rotolare giù per la china che l’ha portata al fallimento? Lo chiediamo a Angelo Lupi, un tecnico che ha iniziato a lavorare in Lares 37 anni fa e oggi fa parte del gruppo di lavoratori che presidia l’azienda da 16 mesi.

Secondo lei, il fallimento della ditta è imputabile a truffe e personaggi recenti o vi erano già stati in passato segnali di allarme?
La svolta si è verificata 6 anni fa, quando, a causa della crisi delle telecomunicazioni, la ditta ha registrato un calo di liquidità, verificato dalla perdita di clienti per Nokia e Philips (sebbene contemporaneamente ne fossero subentrati altri quali Siemens, Italtel) e, di conseguenza, di fornitori.
Oggi, dopo un anno e mezzo di presidio, i sindacati vi stanno sostenendo?
In realtà stanno ottenendo poco, poiché un sindacato non può fare impresa.
Per voi non si è fatto avanti nessun acquirente?
Un imprenditore italiano che possiede già due aziende nella Brianza e che intendeva espandere la propria impresa; ma la Regione Trentino ha fatto per lui un’offerta migliore rispetto alla Regione Lombardia, garantendo il capannone, lo start-up (periodo in cui si avvia un’impresa, N.d.R.) e del denaro per ogni addetto assunto e così tutto è sfumato.
Sig. Lupi, la situazione disastrosa della Lares è il riflesso di una deindustrializzazione sempre più avanzata e veloce a Paderno che ha coinvolto, negli ultimi decenni, dozzine di imprese: è possibile, secondo lei, trovare delle soluzioni?
A Paderno attualmente non ci sono soluzioni poiché non c’è volontà politica, non solo in questo Comune ma in tutta Italia; non ci sono piani industriali. Anzi, l’unico piano che è stato fatto è per portare il lavoro all’estero: lo Stato sovvenziona le imprese che espatriano, sia perché oltreconfine il lavoro costa meno, sia perché non vi sono normative ferree sull’inquinamento industriale come in Italia. Inoltre, a Paderno come in Italia, scarseggiano purtroppo imprenditori seri e volenterosi.
Dall’Italia che fa scappare il lavoro alle ditte che “scappano” da Paderno: la nostra città di cosa vive?
Bella domanda. A parte piccole aziende ed artigiani non penso vi siano altre fonti di ricavo. Basti pensare che, come si diceva, negli ultimi 15/20 anni circa 30 imprese sono state chiuse, non per mancanza di manodopera, di cui Paderno è molto ricca, ma di “teste pensanti”, di ingegneri che possano rendere queste ditte funzionanti. Non lo dico io, ma una ricerca delle Provincia. Purtroppo, l’imput che ci viene fornito è “meno diritti, più precariato”; possiamo anche, chiaramente a malincuore, accettarlo, ma allora, se dobbiamo vivere con 700 euro al mese, sia abbassato anche il costo della vita.
Il 27 giugno si è tenuta una manifestazione a cui hanno partecipato gli artisti del Teatro alla Scala. Come mai questa unità tra artisti e lavoratori.
E’ una tradizione. Gli artisti del Teatro milanese hanno sempre sostenuto i lavoratori in difficoltà come noi. Certo, la loro fama è maggiore della nostra, sebbene anche loro guadagnino cifre non esorbitanti e debbono fare i conti con la crisi. Non possono però vantare il nostro record: il 27 giugno saranno 573 giorni di presidio. Siamo riusciti a richiamare l’attenzione di tutti sul nostro caso, visto che in tutto questo tempo siamo stati circondati solo dal deserto, tanto istituzionale quanto politico.
(Sorride). Molto difficile, perché dopo 30 anni di esperienza lavorativa ti ritrovi a vivere con persone a cui prima dicevi al massimo “Ciao, come va”. Purtroppo, dopo 16 mesi, mi sto abituando a questa nuova vita.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Non esiste nessuna politica industriale e i lavoratori come quelli della Lares ormai sono solo merce di scambio,per la politica,i sindacati che invece di tutelarli, si fanno la guerra a vicenda.Ossi da spolpare tra le varie agenzie per il ricollocamento al lavoro che non collocano proprio nessuno, a parte loro stessi... Avete un'idea di che cosa incamerano per ogni lavoratore in cassa integrazione? Sapete quanti lavoratori hanno ricollocato finora? quasi nessuno! Sono solo soldi buttati che avrebbero potuto essere impiegati diversamente. E' scandaloso. Ci sono agenzie che litigano fra di loro per accaparrarsi i lavoratori! E' il nuovo business nato sulla pelle di chi ha la disgrazia di perdere il posto di lavoro. Scusate lo sfogo e grazie per esservi interessati del problema lavoro.
Adriana